martedì 6 dicembre 2016

Sai che una corretta frittura preserva al massimo i nutrienti degli alimenti?



La frittura è un metodo di cottura per concentrazione molto antico, attuata con un mezzo lipidico portato a temperatura elevata, impiegando una padella oppure una casseruola a bordi bassi, che garantisca la più rapida disidratazione dell’alimento. Pur essendo considerata una tecnica difficile, diventa automatica una volta che se ne siano compresi bene i semplici principi basilari e si sia fatta un po’ di esperienza. La frittura è un metodo diffuso in tutto il mondo e noto dai tempi più antichi. Già durante l’impero romano si friggevano i cibi, sia dolci che salati, solitamente nell’olio di oliva. Una ricetta del periodo, la frictilia, è la probabile antenata delle attuali chiacchiere di carnevale. Pur essendo una delle modalità di cottura più discusse da parte della moderna Scienza dell’Alimentazione, la frittura ha retto la prova del tempo. Bisognerebbe considerare criticamente non la frittura in sé, ma con che cosa e come si frigge!
 
La temperatura del mezzo lipidico deve essere elevata, ma non tale da bruciare l’esterno dell’alimento prima che l’interno sia cotto. Infatti, dal centro dell’alimento si sprigiona vapore man mano che esso cuoce, formando delle bollicine in superficie. Questo processo chimico centripeto, ostacola la penetrazione del grasso all’interno. Quindi un buon fritto è quello che presenta ancora una traccia di umidità all’interno, poiché la quota lipidica non deve penetrare, se non in quantità minima. In ogni caso, per ottenere un fritto leggero e croccante, bisogna usare abbondante olio e, soprattutto, fare attenzione alla temperatura, che dovrà essere elevata ma sempre al di sotto del punto di fumo.
 
Il consiglio nella frittura è quello di usare olio extravergine di oliva che, a seconda delle varietà, ha un punto di fumo mediamente intorno ai 180°C, e non gli oli di semi, economici e con un punto di fumo apparentemente alto. Un olio abbastanza stabile è quello di arachide, che ha un punto di fumo intorno ai 200°C.
 
Tuttavia, i grassi normalmente subiscono fenomeni naturali di ossidazione, ma a temperatura elevata e in presenza di ossigeno atmosferico, le reazioni di ossidazione sono notevolmente accelerate. L’intensità del processo ossidativo viene contrastata dalla presenza di sostanze antiossidanti. Fra tutti gli oli, soltanto quello extravergine d’oliva reagisce in modo molto stabile all’attacco combinato dell’ossigeno e delle alte temperature, poiché è ricco in sostante antiossidanti. Più elevata è la temperatura, più facilmente si assiste ad alterazione dei grassi, che nei casi estremi, possono essere responsabili di effetti tossici, a causa di reazioni di polimerizzazione, ciclizzazione e isomerizzazione.



 
Ogni grasso possiede un proprio specifico livello di tolleranza alle alte temperature, oltre il quale i trigliceridi si scindono nei loro componenti fondamentali: glicerolo e acidi grassi.  Il glicerolo costituisce lo scheletro dei trigliceridi, e si disidrata formando l’acroleina, che è una sostanza volatile di odore pungente con azione irritante nei confronti della mucosa gastrica e tossica per il fegato. Gli acidi grassi subiscono la termo-ossidazione con formazione di perossidi, e successivamente si origineranno composti dannosi come aldeidi, chetoni e polimeri.
 
Le sostanze antiossidanti contenute nella quota in saponificabile dei lipidi, oltre agli effetti biologici e ai benefici nutrizionali, spiegano la stabilità dell’olio extravergine d’oliva e ne giustificano la maggiore conservabilità e resistenza al calore, cioè alla cottura in generale e alla frittura in particolare, rispetto agli altri oli di semi. Questa presenza di agenti antiossidanti contenuti nelle drupe (olive) non viene significativamente ridotta dal metodo di estrazione, che avviene  a freddo o a temperature non elevate, mentre per altri tipi di oli si usano solventi chimici come l’esano.  I processi di raffinazione, infatti, disperdono del tutto o in gran parte i componenti della quota in saponificabile e questo si traduce in una perdita di antiossidanti.
 
La frittura realizzata in modo corretto, nonostante lo shock termico che altera le molecole superficiali, in virtù del brevissimo tempo di cottura, preserva al massimo i nutrienti interni, provocandone alterazioni meno marcate rispetto a qualsiasi altra modalità d’impiego del cotto. Inoltre, la disidratazione veloce, con la minima impregnazione lipidica, inferiore a quella delle cotture al forno o ripassare in padella, facilita l’azione dei succhi digestivi.

 
 Per la loro azione di stimolo epato-biliare, nella composizione dei pasti, gli alimenti fritti devono essere associati ad altri che contengono grandi quantità di acqua di vegetazione, indispensabile per sostenere biochimicamente il lavoro epatico richiesto dalla frittura stessa.
 
La frittura può essere con o senza rivestimento. Oltre a quelle semplici, con immersione dell’alimento in olio bollente (che si può ottenere anche con la friggitrice a condizione di averne un’accurata manutenzione) esiste la frittura dorata.
 
 Il fritto dorato consiste nel passare l’alimento prima nella farina e poi nell’uovo prima di immergerlo nel mezzo lipidico bollente. L’effetto organico sarà quello di uno stimolo epato-biliare molto intenso, dato sia dalla modalità frittura che dall’uovo che costituisce il rivestimento più esterno a diretto contatto col calore.
 
La frittura panata, invece, si distingue in  quanto il cibo da friggere viene passato prima nell’uovo poi nel pan grattato e talvolta anche nella farina. Il contenuto di carboidrati di questi due ultimi componenti rende questa frittura utilizzabile anche da individui con funzionalità del fegato meno efficiente.
 

Ancora più tollerabile è la frittura in pastella, utilissima per numerose verdure, ma anche per filetti di pesce o carne. Per ottenere una pastella semplice che rimanga asciutta e non assorba olio, s’impasta la farina con l’acqua, variando nella fluidità a seconda dell’alimento che si deve cuocere, e aggiungendo un cucchiaio di olio extravergine d’oliva e un pizzico di sale.
 
Infine, la frittura dopo infarinatura semplice assorbe una maggior quantità di olio rispetto alle altre modalità e quindi può rivelarsi meno digeribile e meno adatta per individui a rischio di patologie.
 
È importante che i fritti non vengano salati prima della cottura. Il sale concentra l’umidità e impedisce la formazione di una superficie croccante, per cui il fritto va salato al momento di servirlo.


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